Dardust in una hall
Foto di Dardust in una hall Credits: IG @dardust
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Dardust: «”Duality” è l’intreccio delle mie due anime»

Dardust ci ha raccontato del suo tour “Duality” e delle collaborazioni con i cantati. Leggi e ascolta l’intervista all’artista!

Dardust ci ha raccontato del suo tour “Duality” e delle collaborazioni con i cantati. Leggi e ascolta l’intervista all’artista!

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Dardust: «”Duality” è l’intreccio delle mie due anime»

Qui di seguito vi riportiamo l’intervista di Francesco Bianco e Filippo Jarach a Dardust all’interno de Il Filo Bianco: il programma pomeridiano di Radio LatteMiele in onda il sabato dalle 18.00.

1_ Come stai? Stai per partire con il “Duality tour + guest” , come sarà questo show duale tra la parte con gli ospiti e quella elettronica?

Io sto bene, grazie. Sono in partenza per Civitanova, dove ci sarà la data zero del tour (al Teatro Rossini, mercoledì 29 novembre, ndr).

Sarà uno show teatrale in due atti. Nel primo ci sarà un “piano solo” non tradizionale, con un pianoforte al centro dentro un appartamento con architettura giapponese, degli elementi magici che entreranno e usciranno, tra cui gli ospiti.

Alcuni sono già stati annunciati (a Civitanova ci sarà Saturnino, ndr), ma è probabile che ce ne saranno altri a sorpresa.

Nel secondo atto, come accennavi, il teatro si trasformerà in un grandissimo club e, come è successo sino ad ora, il pubblico si alzerà e ballerà. Andremo agli estremi della mia visione musicale.

2_ Il termine “Duality” indica quasi una contrapposizione. Come convivono queste due anime, quella da compositore di musica classica contemporanea e il “Re Mida”, collaboratore con artisti di successo?

Esattamente, sono due anime. Convivono bene, perché un mondo aiuta l’altro.

Con Dardust, quando faccio musica per me, posso sperimentare e andare in mondi lontani, non da classifica, ma dove posso scoprire colori che poi userò nel mondo delle produzioni. Un lato alimenta l’altro, sono entrambi necessari.

Il mio mondo da Dardust artista è trasversale, dove c’è un pubblico curioso, uno spettacolo per tutti. Nulla di estremo.

3_ Tu hai contribuito a rendere popolari e famosi alcuni cantanti. Come funzionano le collaborazioni?

Non c’è una regola. A volte vengo chiamato, a volte esprimo il desiderio di lavorare con un artista. In un modo o nell’altro si mette in moto una macchina che ci porta a collaborare.

È tutto spontaneo. Posso incontrare un artista nel backstage e dire “dobbiamo fare qualcosa insieme”, scambiandoci i numeri.

4_ Cambia il processo creativo tra la tua musica e quella che scrivi per gli altri?

Sono due approcci diversi. Come ti dicevo, col primo da Dardust sono più me stesso e la mia musica non ha confini: riesco a spaziare un po’ e dosare, ma non è detto che non lo faccia anche come produttore.

La creatività è la scintilla iniziale, sempre la stessa. La differenza è che quando sono solo, sono solo, l’altro apre alle visioni dell’artista, che creano suggestioni e fanno nascere un mondo artistico. È un incontro di due personalità, due mondi emozionali diversi che creano una combo nuova.

5_ Che musica ascolta Dardust?

In verità non ascolto musica italiana e raramente risento i pezzi che scrivo o gli artisti per cui lavoro.

Mi piace il jazz, il classico contemporaneo, l’elettronico. Diciamo che il mondo è vasto e mi piace andare a scoprire musica di altri continenti e i luoghi nascosti. Non ho una mappa geografica, mi piace spaziare a seconda dei periodi e della casualità.

6_ Hai definito il tour “uno spettacolo impressionista”.

Perché non c’è un vero e proprio racconto, se non le quattro stagioni nel primo atto e l’assenza di una mappa geografica e temporale nel secondo. Si attraversano luoghi e stili musicali diversi.

È impressionista perché non c’è un concetto in quanto tale, se non quello della dualità, ma ci sono tante impressioni. È un live esperienziale, dove ho cercato di tradurre a livello scenografico tante impressioni che ho avuto negli anni e ci saranno tante suggestioni. In questo senso va inteso il termine.

È come facevano i pittori, che non cercavano il concetto, ma traducevano le impressioni che arrivavano dal luogo o dal soggetto che stavano dipingendo.

7_ Tu spazi in altri continenti per rimanere puro verso gli italiani con cui collabori?

No. Anzi, il fatto di spaziare e trovare colori meno tradizionali e non consoni al contesto mi permette di dare qualcosa di nuovo a chi lavora con me.

Chi mi chiama cerca in me contemporaneità e un guizzo nuovo, che loro si aspettano. È la mia cifra stilistica in tutte le produzioni.

8_ Come riesci a essere contemporaneo pur non essendo giovanissimo?

È il fatto che si cresca e ci si abitui a certi suoni. Questo crea una saturazione e, per forza di cose, per emozionarmi devo andare a scoprire cose nuove.

La chiave è ascoltare musica sempre diversa e appassionarsi. Per non invecchiare, creativamente parlando, si deve rimanere curiosi come bambini.

Dardust: lo stile di “Duality” e le collaborazioni

9_ Hai spaziato nelle collaborazioni mantenendo una precisa cifra stilistica, ma non la stessa sonorità.

È forse un talento naturale, ma c’è anche studio. È una combo.

10_ Cinque album in sette anni di attività. Pensi che siano tanti o ci sono dei conti a livello discografico?

Cerco di pubblicare ogni due anni, ma se fosse per me sarebbe un appuntamento annuale (ride, ndr). Capisco, però, che serva un team che lavori alla produzione e poi c’è il tour.

Ogni album ha due anni di attività prima di esaurirsi.

Sono al lavoro su un nuovo disco e spero di pubblicarlo nel 2024. Non c’è una logica di massima, fosse per me andrebbe bene anche ogni sei mesi (ride, ndr).

11_ Come trovi ora la musica italiana?

Credo che le leggi dello streaming siano fatte da un pubblico giovanile, prevalentemente under 20, che sentono a ripetizione un brano facendolo alzare in classifica.

Non è detto che un brano pop, anche senza stream, non lasci un’impronta nell’immaginario. Si scoprono sempre alcuni pezzi intramontabili senza grandi ascolti.

12_ Hai una grande attenzione nei lavori che presenterai nel tour.

È importantissima la parte visiva, essendo un concerto in cui non c’è una voce che canti.

Serve una sceneggiatura che coinvolga il pubblico, che faccia sue le canzoni. Essendo un viaggio strumentale è utile avere una mappa visiva, dove ognuno proietta quello che vuole.

Conta dare delle suggestioni e creare un’esperienza visiva che faccia entrare il pubblico nella musica.

13_ Ci saranno delle sorprese?

Potrebbero aggiungersi degli amici, all’improvviso.

14_ I tuoi spettacoli puntano sul visivo. Segui il trend internazionale?

È un trend mondiale, esiste da sempre, anche David Bowie lo fece nel 1990 (“Sound+ Vision Tour”, ndr) creando una visual in bianco e nero con delle proiezioni pazzesche.

Nell’immaginario pop, lo show ha forse necessità del linguaggio estetico per creare momenti iconici, di impatto, che poi porti a casa con te. Lo fanno tutte le star.

15_ Cosa pensi dei talent show e del loro contributo alla musica italiana? Pensi che sia uno stratagemma delle case discografiche per non fare più scouting?

Li vedo bene, perché sicuramente ci sono dei pro e dei contro.

Sono tutti utili, perché hanno tirato fuori artisti che sono diventati importanti a livello nazionale e internazionale. Sono degli espedienti che permettono di creare un percorso, che costruisce l’identità del cantante e lo rende visibile al pubblico nel corso delle varie puntate sino alla finale.

È ovvio che ci siano dei passaggi pericolosi, perché in tanti non riesco ad arrivare alla fine e la vedono come un fallimento piuttosto che un risultato temporaneo.

16_ Ci vediamo agli Arcimboldi (martedì 12 dicembre. ndr), con ospite Mahmood.

Dico questo: ci sarà un altro ospite che, magari, abbiamo sentito nel corso di questa puntata!

Written by Redazione Lattemiele

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