Gio Evan ci ha parlato del suo nuovo libro “Il piccolo libro delle grandi domande” e del valore positivo dei dubbi. Leggi l’intervista!
Qui di seguito vi riportiamo l’intervista di Francesco Bianco a Gio Evan all’interno di Wake Up: il programma mattutino di Radio LatteMiele in onda dal lunedì al venerdì dalle 08.30.
1_ Sei impegnato su più fronti, poesia, teatro, canzoni. Hai fatto due pezzi con protagonisti dei pittori: “Modì” (Amedeo Modigliani) e “Carrà” (Carlo Carrà).
È un incrocio di artisti che volevo celebrare e i cognomi si adattavano allo scopo. Ho usato Carrà nel secondo brano perché in quel periodo ci pensavo spesso.
Gli artisti sono degli archetipi. Invece di dire “peccato che non ci si guarda più negli occhi” dico “Modigliani”. È un’abbreviazione, un T9 artistico.
2_ Dal 21 febbraio sarai in tour. Che rapporto hai con il pubblico in quello che è, a tutti gli effetti, uno spettacolo teatrale?
È un’amicizia. Il concerto dura due ore, il post anche otto: ci trasciniamo fino all’alba!
Si è creato un legame di condivisione e, più di una volta, siamo andati nei parchi più vicini ai luoghi in cui suono, ci prendiamo una birretta e facciamo l’alba aggiornandoci sui percorsi che stiamo intraprendendo.
È una cosa più spirituale che cantautorale, la vicinanza è naturale: io stesso, che vivo in solitudine, quando mi affaccio su questo mondo scopro che non sono solo.
3_ Sei andato anche in America, Miami.
È andata bene anche lì. C’erano tanti italiani e tanti americani che conoscevano la lingua, poi si parla prevalentemente spagnolo.
Anche se rimaneva la paura che si perdesse la lingua, come a Los Angeles. Invece, anche chi non conosceva l’italiano si è innamorato del suono.
4_ Come mai hai intitolato lo spettacolo “Fragili e inossidabili”?
Inossidabile si associa all’acciaio, lega dalla robustezza secolare. La fragilità è l’opposto, devi starci attento.
Li ho uniti perché ho imparato, sulla mia pelle, che la conoscenza della fragilità rende indistruttibili.
5_ In “Carrà” celebri anche la grande showgirl italiana Raffaella, una donna estremamente contemporanea. Come mai?
È partito tutto da un sogno. Io ho una dimensione onirica molto forte e ho la consapevolezza del sogno lucido.
Mi è rimasta impresso perché mi piace un sacco. Mi ha dato fatto capire ciò che vorrei fare nella vita.
6_ “Il piccolo libro delle grandi domande” è quasi un gioco di società. Ho letto la prefazione dove dici di venire da una famiglia in cui tutto era certo e per questo, vuoi manifestare il dubbio. Cosa ne pensi di questi tempi? E come nasce l’idea del libro?
In verità bisogna imparare a dare il giusto valore al dubbio, perché è il motore della ricerca, la base dell’intelligenza. Se non ti metti in dubbio, smetti di crescere.
L’idea del libro nasce perché sono scocciato dai saccenti che mi circondano, che hanno risposte per ogni cosa, e da chi si proclama esperto e tuttologo. Io sono innamorato del dubbio e dell’esitazione, volevo esplorarlo.
A questo si aggiunge mio figlio che, tornato da scuola e mi ha raccontato che la maestra gli aveva chiesto cosa volesse fare da grande. Lui, basito, aveva risposto frettolosamente “giocare”.
A quel punto gli ho chiesto cosa volesse fare di grande – e non da grande – e ne è nato un dialogo costruttivo. Se una preposizione può far diventare una domanda così forte, perché non farne tante altre e racchiuderle in un libro?
Ne ho pensata e scritta una al giorno per spronarmi.