Il Tre ci ha raccontato dell’album “Invisibili” e dei sold out ai concerti: gli unici numeri che contano realmente.
Qui di seguito vi riportiamo l’intervista di Giorgio Dazzi e Simone Rossi a Il Tre all’interno di Fin qui tutto bene: il programma pomeridiano di Radio LatteMiele in onda dal lunedì al venerdì dalle 17.00.
1_ Come si pronuncia il tuo nome a livello radiofonico, quando si annuncia il disco? Essendo romano, tifi Roma o la Lazio?
Si dice “ora il disco del Tre” (ride, ndr).
In verità sono interista, perché mio padre mi ha trasmesso questa fede calcistica quando ero piccolo. Ho tanti amici interisti, tanti romanisti e un solo laziale: il mio manager, che accetto (ride, ndr).
2_ Sulla tua Wikipedia e abbiamo letto che hai più premi che dischi.
Mi sono cercato la settimana scorsa e, leggendo, mi sono detto: “Ho una pagina, quindi sono qualcuno!”.
Ho solo due album all’attivo e varie certificazioni, ma sono solo numeri. Quello che contano sono le persone reali e il contatto con loro durante il tour, iniziato una settimana fa.
3_ Sei un “Discoman”, nel senso che preferisci gli album ai singoli, al contrario dei cantanti di oggi. A proposito di “disco”, che tipo sei quando balli?
Non so ballare e sono astemio, sono quello che ordina acqua naturale in discoteca. Gli album sono importanti perché danno credibilità all’artista. Mi piace portare avanti quest’idea.
4_ “Invisibili” ha una copertina davvero particolare.
Sono io in un ghiacciaio islandese a petto nudo e a faccia in giù che, probabilmente, voglio morire (ride, ndr). Faceva freddo e sono stato in acqua cinquantatré secondi.
Avevo la muta ma non ha aiutato: una volta uscito non riuscivo a camminare. Abbiamo cronometrato il tempo, ne è valsa la pena visto il risultato.
5_ Quando ti sei reso conto che funzionava? Hai mai avuto dei ripensamenti?
Sono in balia dello “star facendo bene”, dipende come mi sveglio la mattina. Quando vedo i sold out capisco che sono persone e non solo numeri virtuali.
Quando vengono ai concerti e li vedo, è la parte migliore dei live.
Da piccolo ho avuto dei ripensamenti come tutti, a un certo punto. Poi la voglia di farlo è talmente tanta che lo fai comunque, perché ti fa star bene e ti dà gioia ed emozioni.
Avevo tredici anni quando ho detto che volevo fare il cantante e non mi hanno preso sul serio, ero piccolo. È diverso quando lo dici a vent’anni: sei adulto e rimangono spiazzati.
6_ Roma è nota per la cucina. Qual è il piatto che ti esce meglio?
Il panino col prosciutto (ride, ndr). Io non so cucinare, perché ci pensa mamma, maestra della carbonara e dell’amatriciana.
Tra le tre paste romane preferisco l’amatriciana: io dirigo le operazioni, lei cucina.
7_ Il tour è iniziato a Roma. Andrai a suonare in posti dove non sei mai stato?
Le date a Roma sono una magia tra pubblico e amici (che è sempre più numeroso).
Andrò a Bologna per la prima volta il 5 novembre. Ci sono stato altre volte, ma mai a suonare.